La paura di fallire nelle relazioni, nel lavoro, nella vita si radica nella solitudine.
La sofisticazione tecnologica acuisce questo senso di solitudine e mentre accorcia le distanze, intacca la prossimità.
Così siamo spesso a testa bassa su una tastiera. È talmente automatico che ci accompagna prima, dopo e durante i pasti, prima e dopo il sonno, mentre siamo in bagno, in macchina, in treno, sull’aereo, seduti su una panchina, sdraiati in spiaggia. È talmente pervasivo che è diventato routine e quotidianità.
Grandi e piccoli hanno difficoltà a rispondere alla domanda:” cosa ti piace fare”?
I matrimoni e i divorzi passano dai social.
Di che colore hanno gli occhi le quattro persone che frequenti di più?
Buona parte vanno a vedere la foto di profilo per rispondere.
Ci si guarda poco e questo ci rende meno empatici, più aggressivi, meno concentrati.
Se ieri si rendeva schiavi facendo trasportare pietre per costruire piramidi, oggi il metodo è più piacevole: stai in rete,sii social.
Nel social il bombardamento è continuo. Pubblicità dirette e indirette per acquisire status fittizi.
L’offerta gratuita di milioni di informazioni riduce la nostra capacità di scelta. Più abbiamo, meno godiamo.
Passano davanti, mentre siamo impegnati nella vita digitale, opportunità di reale evoluzione.
Le relazioni sono mediate da emoticon, frasi d’effetto e copioni beautifulliani. Ed io e tu dove sono finiti? Il noi mediato dal reciproco respiro che fine ha fatto?
Superare la “social solitudine”: è questa la sfida.
Occhi dentro agli occhi.
Mani che sanno toccarsi.
Corpi che sanno riconoscersi.
La depersonalizzazione è resa quotidiana e possibile da campagne pubblicitarie il cui unico scopo è l’omologazione: dal tipo di jeans, al gioco su Facebook più cool. Stessa logica, uguale destino.
Migliaia di ricette per fare qualsiasi cosa, in tempi supersonici, oltrepassando la goduria, saltandola proprio, intendo. E’ per questo che non basta mai e va replicata, uno, due, tre, mille, diecimila volte.
Guerre al suon di like, tag, sold out. Magnificenze che imprigionano nell’illud tempus, perché se ti tengo dentro, io continuo a guadagnare.
E ancora una volta, io e tu, noi, dove sono andati a finire?
Non bisogna spegnere i social, bisogna riaccendere la vita offline e parlarsi respirandosi, creare immergendosi fisicamente, innamorarsi toccandosi.
Io sono grata alla tecnologia, un po’ meno al come viene usata.
L’urgenza di essere, “essere con” è rossa. Le persone muoiono di solitudine. Si può cambiare tendenza, rispettando le evoluzioni tecnologiche. Io ci credo.