La poesia e il dolore che diventa dono.
Ieri sera ho scritto una “poesia”. Scrivo tra virgolette questo termine perchè conosco poco le regole stilistiche che definiscono un componimento tale.
Scrivo probabilmente per associazione: una persona condivide con me il suo sentire dopo aver detto si a se stessa, un’altra nel suo esercizio, spero quotidiano, pesca la parola “fragilità”. Un’altra ancora mi avvisa che il mio libro è arrivato a destinazione. Un’altra persona rimane nel suo silenzio sacro.
Qualche giorno prima una cara amica mi dice: la tua poesia nella prefazione di Ad un passo da noi è potente. Un anno fa qualcuno mi scrisse che per lui era stata terapeutica
Ed io? Dove sono io? Qual è il mio sentire?
Scrivo e ne esce fuori un “pensiero incolonnato”: comincio ad averne tanti. Ne prendo coscienza oggi.
Cosa accade quando scrivi una “poesia” piuttosto che un testo più lungo e articolato?
La sintesi e la ricerca metaforica in qualche modo costringono a scegliere le parole con più cura ancora. Costruisci ponti immaginari che potrebbero sfuggire sia alla logica che ad una comprensione cosciente del cuore. Sta di fatto che lo fai e cambia lo stato della tua energia.
C’è chi riesce a compiere questa operazione di getto e chi invece ha bisogno di molto più tempo.
Cimentarsi in questa attività è molto utile per chi, come me, è abituata a scrivere molto.
L’essere sintetico dà in effetti una cornice all’analisi.
Questi due aspetti sono fondamentali. Ancor più lo è l’integrazione.
L’attenzione su questo termine è da semaforo rosso: bisogna fermarsi, prendersi il tempo e capire in che modo il dialogo tra i due diventa utile per la tua crescita.
Tutto va integrato perchè è in questo processo che si lascia andare l’inutile. In questo atto energetico si pota, si radica e ci si espande.
Ho intitolato il componimento Anime Fragili.
Come scrivevo sopra, la parola fragilità me l’ha indirettamente suggerita un’anima bellissima.
Quando ci si sente fragili, bisogna cercare di capire qual è l’insegnamento. Ecco perchè allenarsi alla presenza.
La fragilità apre dei varchi come tutte le condizioni interiori.
Ti “butta” nel sogno che è il luogo nel quale ci rifugiamo o al quale aneliamo per essere felici. Lì costruiamo gli arcobaleni e come accade nelle favole, trasformiamo gli elementi di dolore o paura in strumenti di forza e potenziamento: una lacrima diventa un cristallo e quest’ultimo interagendo con la luce dà vita ad arcolaleni, ponti tra il tuo sé profondo e il futuro. Questo ponte rappresenta l’integrazione.
Da qui il poter donare in autenticità ciò che hai imparato.
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