Dopo molti tornanti e salite ripide e strette arriviamo a Bova. Qui il tempo si è fermato. Si respira un’aria di passato. Un borgo piccolo, curato e con una tradizione linguistica che si perde nel tempo. Doppia lingua: italiano e greco calabrese. Uno studioso tedesco, un archeologo delle parole, ha addirittura curato un vocabolario identitario. Lo tocchi ed hai i brividi. Qui i privati ristrutturano i viottoli, tengono pulita la strada sulla quale si affaccia la loro casa. Qui due gemelli fanno la lestopitta, vengono a brindare con te, si fanno la fotografia, ti offrono più di quello che ordini e ti danno il loro bigliettino da visita. Qui c’è un artigiano della pietra: l’ultimo che conosce la tecnica “tagli e cuci”. Qui si festeggiano le palme con delle statue fatte di grano, primizie e foglie di ulivo. Qui ci sono la residenza degli artisti, case per i laboratori. Qui su un muro c’è un’esortazione antica al risveglio delle coscienza. Sembra di stare in un altro mondo ed io rimango estasiata dal rito delle palme. Le statue che portano in giro e che non vengono fatte entrare in Chiesa, sono il simbolo della fertilità: durante il solstizio di primavera, vengono portate in giro per ogni vicolo. C’è chi pensa che sia un rito propiziatorio e che venga per questo invocata Persefone. Lasci Bova con un sano senso di magia e meraviglia. Continua il cammino. Questa volta sono le discese che preoccupano. Arriviamo a Roghudi, un paese completamente deserto: le case sulla roccia si confondono con costruzioni moderne che lasciano l’amaro in bocca. Non c’è più nessuno eppure la storia urla. Ci incamminiamo verso Amendolea, questo letto di fiume immenso e prosciugato. Ormai solo un torrente canta la solitudine e l’abbandono del borgo. Ci cammini sopra e sai che un tempo quello era un fondale. È emozionante. Quando risali sai di aver messo i piedi in millenni di storia. Riprendiamo il viaggio. È tutto deserto. Le contrade parlano di storie che non si ricordano più. Arriviamo a Paterniti. Ci accoglie una famiglia nell’unico bar del paese. Hanno preparato per noi le loro prelibatezze. Ne sono fieri. È evidente. Arriva un ragazzino e appena finito di cenare, inizia a suonare la fisarmonica accompagnato da Mimmo ed il suo tamburo. Si balla la tarantella. Il primo giorno si chiude così. Il secondo inizia con una colazione abbondante. Siamo pronti per salire il costone e inchinarci davanti a sua maestà Etna. Per trovare il sentiero agevole affrontiamo qualche piccola difficoltà ma riusciamo nell’intento. È meraviglioso. Durante la discesa il gruppo delle donne mi chiede una meditazione. La guido intorno ad un ulivo e di fronte al vulcano. È forte. In quei minuti esiste solo quel cerchio. Proseguiamo dopo un caffè in paese. Andiamo alla pietra di Garibaldi. Cambia lo scenario. Sembra di essere sulla luna. Rientriamo per il pranzo e li la giovane signora ci fa assaggiare una sua specialità mentre il marito prepara gli spaghetti con gli asparagi. Due giorni intensi e contrastanti : forte il senso di abbandono e altrettanto potente il senso di bellezza della Natura. Chissà… Intanto la lezione è che per percorrere il tuo sentiero, devi avere il coraggio di cercarlo.
E’ stato bello condividere con te questi due giorni, anche se, in realta’, abbiamo condiviso solo la meditazione intorno all’ulivo. Abbiamo scambiato poche frasi ma mi hai incuriosito, per questo sono qui. Mi auguro che si saranno altre occasioni per incontrarti davvero. Un abbraccio fraterno.
Francesca Cricelli.
Cara Francesca grazie a te di esserti lasciata accompagnare in questa meditazione. Grazie per la tua ironia… A presto. Un abbraccio forte