L’EREDITA’ DI UNA BAMBINA


Ho scritto più di una volta sul mio blog di quando ho scoperto che mi piaceva la frenesia della mano che scrive veloce su un foglio, del tema sull’autunno, che da allora è la stagione che preferisco, e di quei due accenti mancati che pian piano si sono trasformati in ali. Riprendo dalla memoria ancora una volta quell’immagine e riguardo quella bambina e quello che ho ereditato da lei. Si dice che l’eredità è qualcosa che ricevi quando qualcuno lascia questo mondo e non potendo portare con sè null’altro che la sua anima, dona i suoi averi ai suoi cari. Mi viene da pensare che l’eredità sia qualcosa di più profondo e immateriale e che ognuno di noi porti con sè, quindi erediti, ciò che ha costruito, più che ciò che hanno costruito gli altri. Ed allora riguardo la bambina vestita d’angelo incorniciata su un camino che mordicchia le sue labbra e le parlo, incurante di quello che potrebbe accadere se d’improvviso arrivasse qualcuno in cucina e mi vedesse assorta in quello che visibilmente parrebbe un monologo e che spiritualmente è un dialogo d’amore con chi è stata prima di me e tutt’ora vive attraverso di me. La Angelina che ero mi ha lasciato in eredità le corse spensierate, i salti dall’inferriata della comari Carmela, che vive indisturbata nel mio cuore con il suo sorriso timido e la sua presenza eterna sul balconcino. Mi ha lasciato le corse a velocità sconsiderata sul corso di Grillo su una bicicletta bianca e fucsia; mi ha lasciato le arrampicate su piccole querce stanche e le capanne fatte tra i blocchi di mattoni dietro al Carmelo o tra le felci delle 4 Madonne. Mi ha lasciato le bugie che di tanto in tanto dicevo per scamparla dalle marachelle e che in verità mi hanno sempre lasciato l’amaro in bocca perchè mentire non è utile alla propria felicità. Mi ha lasciato i sorrisi ampi di chi non c’è più, i cocodè per divertirsi delle mie espressioni arrabbiate, l’accoglienza spirituale di nonna Angelarosa, il bastone in legno e il cappello piegato di lato di nonno Giuseppe, “u vue nu geuatiallu” (lo vuoi un gelato) di nonno Francesco per farmi tornare a scuola. Mi ha lasciato i miei affondamenti nella neve con gli stivali beige mentre mano nella mano con mio fratello scendiamo a U Timpariallu. Mi ha lasciato il rumore dei fiocchi bianchi e il naso appiccicato alla finestra e i disegni fatti su quest’ultima con l’ausilio di un fiato sempre pronto a permettermi di dare sfogo alla mia immaginazione. Mi ha lasciato un davanzale sul quale faccio finta di suonare un pianoforte e le serate senza luce ad ascoltare i racconti di mia madre. Mi sembrava di vedere Natalina (che ora ci guarda da lassù), Angelina la sarta (anche lei in cielo); zia Maria di Torino, la mitica Memena, la più piccola del gruppo, e Gigino. Mi sembra di essere con loro in macchina, quando si poteva starci anche in 7/8, mentre fanno i loro giretti in giro per il paese e a volte anche poco oltre. Immagino la gioia che provavano nello stare in una macchina quando ancora per lo più ci si spostava con la Corriera, le Apette e gli immancabili Asinelli. Mi ha lasciato la gioia di vedere papà fare il presepe con delle casette in plastica tutte colorate, il muschio in abbondanza e due vecchietti seduti ad un tavolo a mangiare del pane e a bere vino mentre tutti gli altri pastorelli si affrettavano ad andare alla grotta. Mi ha lasciato gli “sgattaiolamenti” nella camera dei miei alla ricerca dei giocattoli di babbo natale e alle fughe veloci ogni volta che avevo il timore (reale) di essere beccata da mamma e papà che se la ridevano di gusto per i miei tentativi grossolani, guidati da mio fratello. L’Angelina che sono stata mi ha lasciato una grande eredità, che posso portare ovunque, perchè è stata intelligente: lei ha puntato sulla memoria e lasciato traccia dentro di me di quello che posso continuare a fare. Così mi piace stare seduta al banco con il mio grembiule blu e il colletto all’uncinetto fatto a mano mentre scopro che è bello scrivere. Perchè anche scrivere è lasciare un’eredità, la memoria. Chi ha traccia di sè è ricco, chi ha traccia di sè può dissodare lì dove nessuno oserebbe e creare strade e ponti che uniscano i progetti, i sogni, i valori, gli ideali. L’Angelina che sono stata mi ha lasciato una penna, mi ha lasciato l’entusiasmo. Mi ha lasciato la tenacia e la determinazione. Mi ha lasciato l’Amore da dare e la gioia dell’accoglienza. Mi ha lasciato la frenesia di sperimentarmi, di continuare a saltare dalle inferriate. Vuole che sia ancora capace di immaginare che le felci possono diventare dei muri purchè i muri non dividano ma proteggano e custodiscono ciò che conta di più nella vita: le relazioni autentiche. Gratitudine all’angioletto che se ne sta sul caminetto, gratitudine a ciò che mi ha insegnato vivendo, gratitudine per dove mi ha condotto e per gli orizzonti che continuerà a farmi vedere. Ecco perchè i bambini sono importanti: perchè ci lasciano in eredità la speranza e la spregiudicatezza di fare e di essere, di sbagliare e di riprendere il cammino, di tentare e di immaginare che ciò che abbiamo il coraggio di pensare può trasformarsi in realtà. Gratitudine a quell’angioletto che mi fa essere fuori come un balcone e mi spinge a mettermi costantemente in discussione, che mi mette davanti alle mie fragilità con i miei punti di forza e mi fa cogliere quei dettagli che mi fanno apprezzare la vita. Gratitudine, immensa gratitudine, perchè i bambini che siamo stati sono l’esempio più illuminante che abbiamo per essere adulti degni della loro eredità…
 

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