I miei primi 35 anni e Sognando la meta


Il rumore dei tuoni e quello dei clacson che annunciano il
passaggio di due sposi fanno da cornice a questo post. Non sono abituata a
festeggiare il mio compleanno ed è un errore. C’è sempre qualcosa per cui
ringraziare quando si passa dal giro di boa. In effetti è stato un anno molto
importante, ho imparato tante cose, mi sono sperimentata in diverse situazioni
e c’è molto per cui essere soddisfatta. Quest’anno Promethes ha compiuto cinque
anni, io 35 e Sognando la meta 1. Da scrittrice indipendente ho raggiunto un
obiettivo insperato per gli esordienti: quasi 600 copie. Quasi seicento persone
hanno in mano il mio progetto, hanno in mano il sogno di quella bambina di
terza elementare che ha deciso di trasformare i due accenti mancati sulle “e”
del tema sull’autunno in due ali da usare per vivere pienamente la libertà che
deriva dal prendere le decisioni che più fanno stare bene il tuo cuore. Sia a
San Lucido che a Castel Silano, ma direi in tutte le presentazioni che ho fatto
finora, io ho fortemente parlato di possibilità. Cosa siamo disposti a
concederci per essere felici? Quali sono i piccoli e fondamentali passi
quotidiani che siamo disposti a fare per sentire il nostro corpo e la nostra
anima vibrare? La vita si vive nella quotidianità: quale quota siamo disposti a
raggiungere per dare a questo giorno la dignità che merita? Quali sono le
persone che hanno voglia di essere la tua rete e di concederti l’opportunità di
essere a tua volta un nodo della loro? Potrei continuare all’infinito con le
domande se non fosse che bisogna pur educarsi a ricevere e a cercare le
risposte. Quest’anno mi hanno preparato una torta, hanno comprato una candelina e
mi hanno invitato a esprimere un desiderio. E’ un atto tanto semplice quanto
profondo: un modo per dirti che ti hanno pensato e che hanno avuto voglia di
dedicarti il loro tempo per un abbraccio, una canzoncina e una fiammella da
spegnere con l’augurio che tutto vada nella direzione che il cuore desidera. E’
stato un compleanno speciale per me, durato più di un giorno, con il vento
caldo del sentire che ancora accarezza la mia pelle. Non è un volo pindarico. E’
un planare su quello che sta accadendo con la consapevolezza che ogni giorno mi
viene offerta l’opportunità di imparare. C’entrano le emozioni che ho provato
il 5 agosto con quelle che ho sentito il 4 a San Lucido e l’8 a Castel Silano
con Sognando la meta. C’entrano perché si parla di accoglienza, di possibilità,
di entusiasmo, di voglia di mettersi in gioco ed anche delle paure che possono
esserci quando si decide di rischiare. Mi soffermo con il pensiero al caminetto
del bar Moè di Ettore e della sua fidanzata. È fatto in pietra ed è
meraviglioso. Adoro i camini, il calore che sprigionano, il senso profondo di
sentirsi a casa che racchiudono nella loro forma. Casa, casa, casa! Quella del
cuore, quella del sentire di essere nel posto giusto per riposare, progettare,
partire e far ritorno. Una casa senza caminetto per me è come un tempio senza
altare. Mentre il cerchio gradualmente si allarga per ospitare altre persone,
lui sta lì per farmi stare a mio agio. Ascolto quello che si dice, parlo a mia
volta e mi accorgo che siamo oltre il racconto, siamo nel presente di ognuno
dei partecipanti. Ognuno va dove lo porta la parola che lo colpisce
maggiormente: gli sguardi fissi si trasformano in emozione e ancora una volta
mi accorgo che gli altri sentono forte ciò che provo. Mi godo il viaggio in
macchina, gli alberi, i campi d’oro già pronti per il riposo dell’autunno, le
strade tortuose, l’altitudine che cambia e le discussioni sulla Calabria che
vuole e su quella che non ci prova. Mi godo anche il silenzio del ritorno, le
foto dell’evento, persino la stanchezza che si fa sentire mentre il sole lascia
il posto alla luna. Mi godo la frescura, i brividi dei primi freddi e le
riflessioni sul cosa sarà. Sognando la meta è contatto puro: non voglio
barriere tra me e chi ha voglia di ascoltarmi. Voglio che l’energia circoli
liberamente, voglio sentire i loro pensieri fluire attraverso i movimenti
inconsapevoli dei loro corpi, voglio sentire l’impercettibile. Ascolto le
domande e ogni volta mi sorprendo quando vengono colti i particolari, quelli
che inserisci per dare ritmo senza però metterli troppo al centro. Guardo le
persone negli occhi e mi piace riconoscerne la dolcezza. Arrivano le domande
dal web: è la prima volta. Twitta con me anche una classe delle medie. E’ una
bella sensazione. A Castel Silano, un paesino vicino a San Giovanni in Fiore,
lì dove l’abate Gioacchino ha costruito la sua abazia dopo essere stato a
Corazzo, ci sono arrivata grazie a Libriamoci, un progetto indipendente che sta
portando i libri nei paesi dove non ci sono biblioteche e che usa i social per
fare cultura, che invita a dare senso al proprio agire e al proprio essere,
liberandosi dai fronzoli dell’apparenza. Ripenso alla mia salopette e alla necessità
di nascondere il mio corpo; vado con il pensiero alle battute sulla mia altezza
per mascherare la tristezza dei centimetri mancati e la sensazione di non
essere abbastanza; penso a quella ragazzina che ha iniziato a leggere i libri
per rifugiarsi in luoghi virtuali e senza giudizio e la guardo con tenerezza e
gratitudine. Se non avessi indossato abiti larghi, letto libri e imparato l’ironia,
oggi non sarei quella che sono. Sognando la meta è diventato la mia tensione,
il mio tendermi verso, la mia opportunità di incontrare persone e condividere;
condividere semplicemente. Libriamoci è per me una salopette che consente al
sentire di stare comodo e di esprimersi attraverso la bellezza della sintesi.
Faccio un passo indietro e ritorno a San Lucido. Ilaria ha disegnato la
locandina e c’ha messo dentro me, il mio cuore, la mia anima protesa verso
chissà cosa e chi. Mi mette sotto ad una nuvola e mi regala l’opportunità di
scriverci sopra ciò che sento dentro. Le luci sono soffuse, fa caldo. Angela
legge alcuni brani del romanzo, Ilaria mi fa domande che mi invitano a entrare
ancora più in profondità. Qualcuno ascolta dai balconi, altri passano distratti
attratti dal karaoke. Noi diamo le spalle al mare mentre una statua ci ricorda
che per raggiungere la meta bisogna avere il coraggio di guardare l’orizzonte.
Arriva il momento di ridere con lo yoga e come sempre, accade che tutti si
lasciano andare. Mi fermo a fare qualche dedica e non posso che pensare a
Stefano e al suo calore, alla bellezza dei suoi movimenti e al suo linguaggio
fatto solo di gesti aperti al mondo. Nessuna parola, solo mani e occhi che
spiegano il suo mondo interiore. Arriva la torta e con essa il desiderio: sono
forse vent’anni che non spengo una candelina. Io e Graziella ci rimettiamo in
macchina e parlando del più e del meno attraversiamo qualche chilometro della
costa tirrenica accompagnati da un mare maestoso e calmo. Il giorno dopo è
altrettanto esaltante tra attese e sorprese. Mi ripeto: “stai sul pezzo, stai
sul qui ed ora!”. Il qui ed ora mi fa ridere e sorridere: sarà quel che sarà. Esiste
un solo tempo ed è questo. Il giorno dopo arriva una nuova candelina da
spegnere: Elena non può accettare che non mi si canti “Tanti auguri”, che non
ci sia una torta con su una candelina e un regalo da scartare: ha ragione. Un
nuovo soffio, un altro motivo per il quale essere grati. Penso che i miei
trentacinque anni siano iniziati molto bene. Il temporale è finito, le nuvole
sono ancora lì nel cielo, ma non piove più. E’ di nuovo tempo di condividere. A
me stessa auguro che sia tutto ciò che desidero. Grazie a tutti coloro che mi
stanno accompagnando, sia lo stesso per voi!

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