Seduta su un divanetto giallo (il
colore che ho scelto per me in questi mesi), ho ascoltato e parlato con persone
che mi hanno regalato momenti di riflessione e di serenità. Ognuno con il suo
linguaggio, mi hanno consentito di assaporare il silenzio assorto, il tono
gentile, il timbro di voce elegante ed insieme profondo. Come si fa ad
assaporare qualcosa che non si può mettere in bocca? con il gusto
dell’intelligenza, quella che parte da un cuore, che a saltelli, come fosse una
rana, va in avanti ed indietro incurante di quello che potrebbero dire o fare
le altre sue colleghe, portata dal solo desiderio di prendersi qualcosa che
potrebbe farle bene. Una ragazza si avvicina alla fine della presentazione e
vuole fare una fotografia con me: sa poco della mia vita se non quello che ha
potuto captare dai miei pensieri condivisi sulla storia che ho scritto, vuole
anche una dedica e mi chiede la mia personale definizione della risata. Lei non
sa quanto sia stata nutriente per la mia piccola esistenza, la sua attenzione
autentica. Al di là delle parole, sono stati i suoi occhi attenti, la sua
propensione a parlarmi, a farmi delle domande che hanno lasciato traccia. Non
so niente di lei eppure penso che abbia bisogno di ricordare a se stessa che è
un’imperatrice, l’unica che possa dettare legge ed anche trasgredirle perché
tutto ciò che riguarda le scelte della sua vita hanno a che fare unicamente con
la sua anima. La sua amica è altrettanto autentica: con lei sperimento il mio
primo autografo con il rossetto. Le parole che mi vengono fuori la colpiscono
al punto che si ferma qualche altro secondo con me per capire come avessi
potuto fare centro. Non lo so come si fa centro, punto la mia penna sulle
vibrazioni che mi arrivano ed anche in quel caso lascio che le cose accadono.
C’è poi l’abbraccio commosso di un signore che ha fatto di tutto per esserci: è
lì in ultima fila ad ascoltare, a perdersi dentro di sè per poi ritornare e
salutarmi dandomi un onore che non pensavo di ricevere in quel momento. In
prima fila c’è un uomo pelato, già visto in passato, che ha a che fare con la
musica e forse con la ricerca del proprio ritmo interiore: è lì a ricordarmi
uno dei passi del mio romanzo che più mi hanno appassionato mentre lo scrivevo.
Mi riporta al profumo dei libri, alla collezione che ho a casa, a quella più
importante che avrò grazie al tempo che continuerò a dedicare alla lettura,
allo studio, all’approfondimento, al relax. Mi riporta ad Ettore bambino e a
quel legame con lo zio grazie al quale una libreria piccola e ben fornita si è
poi trasformata nel suo progetto di vita. Li vedo allineati lungo le mensole, a
terra a formare colonne, sparsi ovunque vi sia uno spazio che possa accoglierli
a testimoniare le storie infinite del genere umano e quella scoperta
“primordiale” ormai del segno grafico come possibilità di conoscenza
e di espressione di sè: i libri. I libri
che resistono al tempo, i libri che r-esistono ogni volte che li rileggi. I
libri che ti colpiscono sin dalla prima parola e quelli che sono poggiati sul
comodino in attesa di essere pronti per leggerli, con il dubbio che non sarai
mai pronto abbastanza per loro. I libri che lasciano spazio all’immaginazione,
quelli che sono così descrittivi da lasciarti l’amaro in bocca. I libri che ti
fanno viaggiare e conoscere il mondo seduti su una sedia, appollaiati su una
panchina o sdraiati su un letto. I libri bagnati di sale marino e raggrinziti
dal sole cocente di agosto. I libri che ti fanno innamorare, quelli che ti
ispirano all’improvviso. Quelli lasciati a metà e quelli che hai continuato
perché il punto finale non era sufficiente per te. I libri che vorresti
scrivere, quelli che vorresti correggere, quelli che hanno venduto milioni di
copie e quelli che tenaci, uno dopo l’altro, costruiscono il sogno di
un’aspirante scrittore indipendente. Quelli il cui autore pensava sarebbe stato
tradotto in tantissime lingue e non ha retto al peso di un’aspirazione
sbagliata. Quelli che a leggerli pensi ma come è possibile che abbiamo avuto
successo e quelli che non riesci a capire perché siano ancora sconosciuti. I
libri che ti accompagnano nelle varie fasi della vita, e quelli che sono fermi sulla
soglia della tua possibilità di comprenderli. I libri sono pazienti, consegnati
all’inchiostro e ai fogli, portatori sani delle buone intenzioni degli
scrittori che rimangono aspiranti per tutta la vita perché aspirano a
condividere, a ispirare, a diventare parte dell’esistenza dell’altro. I libri
vanno oltre le critiche feroci di chi cerca la coniugazione sbagliata, la
metafora azzardata, il groviglio grammaticale di un momento che lo scrittore ha
voluto lasciare in quel modo perché desiderava trasmettere la tribolazione
della frase perfetta che rimane imperfetta. I libri sono imperfetti, sono figli
dell’intuizione, del modellamento, del tentativo di dire, non dire, raccontare,
non raccontare. Lo scrittore è un cercatore di sogni, ha un umore che va su
e giù. Si presta suo malgrado al giudizio di chi lo legge cercando lui e non la
storia. Benché si voglia cercare lo scrittore nei suoi testi, io credo sia più
presente nella bozza, nelle cancellature, nella punteggiatura messa a
puntellare il pensiero senza considerare le regole ortografiche e grammaticali.
Sta lì in quella bozza non corretta, linda perché non ancora contaminata dalle
correzioni, pur necessarie per dare fluidità al testo. Ritorno al salotto con
il divano giallo e sempre in prima fila ritrovo mia cugina, attenta. Ci sono
momenti in cui sento che il suo sguardo è totalmente indirizzato al mio cuore:
so che sta viaggiando, che sta ripercorrendo dei momenti passati insieme e
quelli che adesso rappresentano la sua quotidianità. C’è anche il suo compagno,
mio cugino ormai, che mi ascolta con attenzione. Nel suo atteggiamento voglio
vederci orgoglio e soddisfazione. Accanto a me è seduta una donna dai capelli
rossi. Lei dice che il colore dei suoi capelli ha sublimato la sua emotività.
Io penso che lei sia una persona alla ricerca di sè, con una cultura ma ancor
prima con uno stile carismatico. Mi ha letto leggendo Sognando la meta e lo
presenta come se l’avesse scritto lei. Dice che è lindo, equilibrato, che non
ha cercato gli eccessi e lo paragona ad un quadro di Turner: con la cura delle
sfumature. Mi trova assolutamente d’accordo. Ho descritto la straordinarietà
degli esseri umani attraverso la tenacia che essi stessi mettono nel vivere la
loro quotidianità. In terza fila, forse quarta, c’è un’altra donna che
accompagna il mio narrare puntellandolo con la sua mimica: sorride spesso e
questo mi dà la certezza che ancora una volta c’è brio. C’è poi un’altra
signora che arriva a presentazione iniziata. Si siede senza far rumore ma io
voglio metterla al centro perché voglio ringraziarla a modo mio per avermi
dedicato del tempo. C’è, poi, un uomo dall’animo profondamente gentile: è lì
per farmi un’intervista, puntuale, prima che si inizi: ha letto il mio libro in
pochissimo tempo, mi rimanda come altri, il fatto che si legge d’un fiato e che
non vuoi lasciarlo fino all’ultima parola. Accende la sua telecamera e comincia
a farmi delle domande. Come nascono Sofia ed Ettore? chi può dirlo? nemmeno io
che li ho creati. Sono semplicemente nati, l’uno ha attratto l’altro ed insieme
hanno fatto un romanzo. Al di là delle domande, io leggo l’energia e la
passione di questa persona che ha la frenesia di andare a vedere la partita ma
anche la gioia di darmi una possibilità in più per far conoscere il mio lavoro.
Infine, c’è Stefano e la sua presenza con il sorriso e le carezze che cerca in
suo padre che li ricambia. Il miglior modo per esprimergli gratitudine per
esserci è fissare nella mia memoria la dolcezza dei suoi tratti. I libri
sono capaci di creare questa magia: le persone si radunano intorno a te alla
ricerca di risposte e vanno via con qualche domanda in più e qualche certezza
in meno. I libri sono capaci di generare vibrazioni, di legare persone, di
allontanarle, di emozionarle, di farle rincontrare tanto nel ricordo quanto un
presente che sembrava non dovesse arrivare più. Hanno il potere di commuovere,
motivare e grazie ad essi al di là della grammatica, eppure grazie ad essa,
creano contesti e momenti che vengono consegnati, donati a coloro che
troveranno per essi uno spazio nelle loro librerie. I libri si leggono perché
abbiamo bisogno di magia, di viaggi nella semplicità e nella complicazione, di
punti esclamativi che sostituiscano quelli interrogativi e di questi ultimi che
sostituiscano i primi. Nella
grammatica delle emozioni, nulla rimane statico, tutto cambia con il tempo e le
interazioni con il mondo.
colore che ho scelto per me in questi mesi), ho ascoltato e parlato con persone
che mi hanno regalato momenti di riflessione e di serenità. Ognuno con il suo
linguaggio, mi hanno consentito di assaporare il silenzio assorto, il tono
gentile, il timbro di voce elegante ed insieme profondo. Come si fa ad
assaporare qualcosa che non si può mettere in bocca? con il gusto
dell’intelligenza, quella che parte da un cuore, che a saltelli, come fosse una
rana, va in avanti ed indietro incurante di quello che potrebbero dire o fare
le altre sue colleghe, portata dal solo desiderio di prendersi qualcosa che
potrebbe farle bene. Una ragazza si avvicina alla fine della presentazione e
vuole fare una fotografia con me: sa poco della mia vita se non quello che ha
potuto captare dai miei pensieri condivisi sulla storia che ho scritto, vuole
anche una dedica e mi chiede la mia personale definizione della risata. Lei non
sa quanto sia stata nutriente per la mia piccola esistenza, la sua attenzione
autentica. Al di là delle parole, sono stati i suoi occhi attenti, la sua
propensione a parlarmi, a farmi delle domande che hanno lasciato traccia. Non
so niente di lei eppure penso che abbia bisogno di ricordare a se stessa che è
un’imperatrice, l’unica che possa dettare legge ed anche trasgredirle perché
tutto ciò che riguarda le scelte della sua vita hanno a che fare unicamente con
la sua anima. La sua amica è altrettanto autentica: con lei sperimento il mio
primo autografo con il rossetto. Le parole che mi vengono fuori la colpiscono
al punto che si ferma qualche altro secondo con me per capire come avessi
potuto fare centro. Non lo so come si fa centro, punto la mia penna sulle
vibrazioni che mi arrivano ed anche in quel caso lascio che le cose accadono.
C’è poi l’abbraccio commosso di un signore che ha fatto di tutto per esserci: è
lì in ultima fila ad ascoltare, a perdersi dentro di sè per poi ritornare e
salutarmi dandomi un onore che non pensavo di ricevere in quel momento. In
prima fila c’è un uomo pelato, già visto in passato, che ha a che fare con la
musica e forse con la ricerca del proprio ritmo interiore: è lì a ricordarmi
uno dei passi del mio romanzo che più mi hanno appassionato mentre lo scrivevo.
Mi riporta al profumo dei libri, alla collezione che ho a casa, a quella più
importante che avrò grazie al tempo che continuerò a dedicare alla lettura,
allo studio, all’approfondimento, al relax. Mi riporta ad Ettore bambino e a
quel legame con lo zio grazie al quale una libreria piccola e ben fornita si è
poi trasformata nel suo progetto di vita. Li vedo allineati lungo le mensole, a
terra a formare colonne, sparsi ovunque vi sia uno spazio che possa accoglierli
a testimoniare le storie infinite del genere umano e quella scoperta
“primordiale” ormai del segno grafico come possibilità di conoscenza
e di espressione di sè: i libri. I libri
che resistono al tempo, i libri che r-esistono ogni volte che li rileggi. I
libri che ti colpiscono sin dalla prima parola e quelli che sono poggiati sul
comodino in attesa di essere pronti per leggerli, con il dubbio che non sarai
mai pronto abbastanza per loro. I libri che lasciano spazio all’immaginazione,
quelli che sono così descrittivi da lasciarti l’amaro in bocca. I libri che ti
fanno viaggiare e conoscere il mondo seduti su una sedia, appollaiati su una
panchina o sdraiati su un letto. I libri bagnati di sale marino e raggrinziti
dal sole cocente di agosto. I libri che ti fanno innamorare, quelli che ti
ispirano all’improvviso. Quelli lasciati a metà e quelli che hai continuato
perché il punto finale non era sufficiente per te. I libri che vorresti
scrivere, quelli che vorresti correggere, quelli che hanno venduto milioni di
copie e quelli che tenaci, uno dopo l’altro, costruiscono il sogno di
un’aspirante scrittore indipendente. Quelli il cui autore pensava sarebbe stato
tradotto in tantissime lingue e non ha retto al peso di un’aspirazione
sbagliata. Quelli che a leggerli pensi ma come è possibile che abbiamo avuto
successo e quelli che non riesci a capire perché siano ancora sconosciuti. I
libri che ti accompagnano nelle varie fasi della vita, e quelli che sono fermi sulla
soglia della tua possibilità di comprenderli. I libri sono pazienti, consegnati
all’inchiostro e ai fogli, portatori sani delle buone intenzioni degli
scrittori che rimangono aspiranti per tutta la vita perché aspirano a
condividere, a ispirare, a diventare parte dell’esistenza dell’altro. I libri
vanno oltre le critiche feroci di chi cerca la coniugazione sbagliata, la
metafora azzardata, il groviglio grammaticale di un momento che lo scrittore ha
voluto lasciare in quel modo perché desiderava trasmettere la tribolazione
della frase perfetta che rimane imperfetta. I libri sono imperfetti, sono figli
dell’intuizione, del modellamento, del tentativo di dire, non dire, raccontare,
non raccontare. Lo scrittore è un cercatore di sogni, ha un umore che va su
e giù. Si presta suo malgrado al giudizio di chi lo legge cercando lui e non la
storia. Benché si voglia cercare lo scrittore nei suoi testi, io credo sia più
presente nella bozza, nelle cancellature, nella punteggiatura messa a
puntellare il pensiero senza considerare le regole ortografiche e grammaticali.
Sta lì in quella bozza non corretta, linda perché non ancora contaminata dalle
correzioni, pur necessarie per dare fluidità al testo. Ritorno al salotto con
il divano giallo e sempre in prima fila ritrovo mia cugina, attenta. Ci sono
momenti in cui sento che il suo sguardo è totalmente indirizzato al mio cuore:
so che sta viaggiando, che sta ripercorrendo dei momenti passati insieme e
quelli che adesso rappresentano la sua quotidianità. C’è anche il suo compagno,
mio cugino ormai, che mi ascolta con attenzione. Nel suo atteggiamento voglio
vederci orgoglio e soddisfazione. Accanto a me è seduta una donna dai capelli
rossi. Lei dice che il colore dei suoi capelli ha sublimato la sua emotività.
Io penso che lei sia una persona alla ricerca di sè, con una cultura ma ancor
prima con uno stile carismatico. Mi ha letto leggendo Sognando la meta e lo
presenta come se l’avesse scritto lei. Dice che è lindo, equilibrato, che non
ha cercato gli eccessi e lo paragona ad un quadro di Turner: con la cura delle
sfumature. Mi trova assolutamente d’accordo. Ho descritto la straordinarietà
degli esseri umani attraverso la tenacia che essi stessi mettono nel vivere la
loro quotidianità. In terza fila, forse quarta, c’è un’altra donna che
accompagna il mio narrare puntellandolo con la sua mimica: sorride spesso e
questo mi dà la certezza che ancora una volta c’è brio. C’è poi un’altra
signora che arriva a presentazione iniziata. Si siede senza far rumore ma io
voglio metterla al centro perché voglio ringraziarla a modo mio per avermi
dedicato del tempo. C’è, poi, un uomo dall’animo profondamente gentile: è lì
per farmi un’intervista, puntuale, prima che si inizi: ha letto il mio libro in
pochissimo tempo, mi rimanda come altri, il fatto che si legge d’un fiato e che
non vuoi lasciarlo fino all’ultima parola. Accende la sua telecamera e comincia
a farmi delle domande. Come nascono Sofia ed Ettore? chi può dirlo? nemmeno io
che li ho creati. Sono semplicemente nati, l’uno ha attratto l’altro ed insieme
hanno fatto un romanzo. Al di là delle domande, io leggo l’energia e la
passione di questa persona che ha la frenesia di andare a vedere la partita ma
anche la gioia di darmi una possibilità in più per far conoscere il mio lavoro.
Infine, c’è Stefano e la sua presenza con il sorriso e le carezze che cerca in
suo padre che li ricambia. Il miglior modo per esprimergli gratitudine per
esserci è fissare nella mia memoria la dolcezza dei suoi tratti. I libri
sono capaci di creare questa magia: le persone si radunano intorno a te alla
ricerca di risposte e vanno via con qualche domanda in più e qualche certezza
in meno. I libri sono capaci di generare vibrazioni, di legare persone, di
allontanarle, di emozionarle, di farle rincontrare tanto nel ricordo quanto un
presente che sembrava non dovesse arrivare più. Hanno il potere di commuovere,
motivare e grazie ad essi al di là della grammatica, eppure grazie ad essa,
creano contesti e momenti che vengono consegnati, donati a coloro che
troveranno per essi uno spazio nelle loro librerie. I libri si leggono perché
abbiamo bisogno di magia, di viaggi nella semplicità e nella complicazione, di
punti esclamativi che sostituiscano quelli interrogativi e di questi ultimi che
sostituiscano i primi. Nella
grammatica delle emozioni, nulla rimane statico, tutto cambia con il tempo e le
interazioni con il mondo.