La vecchina di San Giovanni in Laterano


Una delle meraviglie di stare su un aereo è che puoi entrare
tra le nuvole, quasi come fossi un cucchiaio che si immerge nella panna montata
di una bella macedonia di fragole appena raccolte dal giardino. Un’altra è che
puoi vedere le linee della terra, le sue coste, le sue montagne, il suo mare,
persino la scia delle barche che vanno alla ricerca forse di pesce, forse
semplicemente di relax. Non mi era però mai capitato di vedere il sorgere del
sole e vivere l’alba come non l’avevo mai vissuta. Il buio delle ultime ore
della notte lascia lentamente il posto alle prime luci del giorno, delle
strisce rosa intenso si fanno spazio quasi come se fossero un tappeto sistemato
per l’arrivo del re, il Sole. Pian piano si accende la magia. Il buio si
trasforma in luce e prende forma il mondo sotto di te. È un’emozione strana
quella che ho provato. Occhi spalancati come se avessi due anni e lo stupore di
chi assistendo a questo rito molto più che millenario, si accorge di essere
parte di qualcosa di immensamente più grande dell’immaginazione. Questo veicolo
dalle ali meccaniche ha ridotto le distanze così tanto che sembra quasi
impossibile, ops! assolutamente possibile, partire da Carlopoli intorno alle
cinque di mattina e ritrovarsi a Roma, caput mundi, tre ore dopo. Alla domanda:
cosa hai fatto oggi? Si può rispondere: “sono andata a Roma, ho sbrigato delle
commissioni, e sono ritornata”. C’è un po’ di stanchezza ma è più forte la
consapevolezza che ogni luogo può diventare il centro dell’universo, un punto
dal quale partire e al quale tornare, quasi senza accorgersi di niente. Dalla
semplicità della montagna e delle sue curve al rumore dei veicoli e dei loro
clacson, dal relativo silenzio di una realtà che non conosce traffico ad un’altra
che vive di ingorghi, in un attimo ti ritrovi immerso in un’immensità che trova
nella contraddizione la sua essenza. Prima fermata San Giovanni in Laterano,
maestosa, enorme, così bella da togliere il fiato per la perfezione delle
statue che sembrano giganti realmente vissuti e a riposo da secoli per qualche
strano incantesimo, e dagli intarsi e dipinti in oro che fissano lo sguardo in
alto sul soffitto. Più che in adorazione sull’altare, ci si inchina con la
testa all’insù. Strana sensazione! Fuori, all’angolo di questo prodotto umano
stupefacente, c’è lei: una vecchina avvolta nel suo cappotto troppo largo per
il suo corpo esile. Con la testa nascosta in uno sciarpone blu usurato dal
tempo, tanto da non riuscire a distinguere il suo volto dai suoi vestiti, sta
lì con la speranza che qualcuno le dia qualcosa. Ne sono attratta come non lo
sono mai stata fino ad allora dai mendicanti. Le do una moneta e la sua voce
emozionata mi entra nel cuore. Mi ringrazia con amore e insieme con
disperazione, mi benedice e mi ruba la mente per tutta la giornata. Sono a Roma
per firmare una convenzione che ci consentirà di lavorare per un anno e mezzo
sul nostro territorio, eppure niente mi sembra più importante del pensiero di
lei. Mi chiedo mentre mi avvicino al Ministero perché non ho pensato di
comprarle qualcosa da mangiare e spero con tutta me stessa di reincontrarla. La
mattinata non mi porta fortuna in tal senso. Mi perdo tra il Colosseo e Piazza
di Spagna, tra volti che non ho registrato, rumori che non sono poi così
fastidiosi quando l’anima è impegnata in altro. Cammino con difficoltà, per
fortuna c’è Angela che mi offre il suo braccio e la sua compagnia. C’è il sole,
non fa particolarmente freddo e tutto sembra prepararsi al Santo Natale. È mezzogiorno
e l’universo non ci consente di trovare niente da mangiare. Ritorniamo a San
Giovanni e lei è lì. Sono stata esaudita! Corriamo a farle un panino, più
abbondante che si possa, sperando che nel frattempo non scompaia nel nulla e
quando ci avviciniamo per darglielo, si mette a piangere, ci bacia le mani, ci
benedice. Mio Dio, nessuno mai mi ha ringraziato così! Per me è un dolore. Avrà
circa 80 anni e questa società non sa offrirle nient’altro che un angolo di una
cattedrale che di fronte a tanta crudeltà, perde di colpo la sua bellezza. Trovo
crudele che una vecchina non possa stare seduta al caldo di una casa che deve
poter raccontare la sua storia, trovo crudele che gli esseri umani siano capaci
di costruire edifici enormi e resistenti al tempo ma non sappia dare calore al
suo vicino. Trovo crudele che non possa quella vecchina mangiare con qualcuno
che le chieda come è andata la sua giornata, che l’abbracci e benedica la sua
presenza. Mi resta nel cuore il pensiero del suo cammino e la sua vocina così
disperata e grata di quei pochi minuti in sua compagnia. Ho bisogno di pensare
che qualcuno che vive nell’Urbe o che sia lì di passaggio, legga questo post e
trovi il tempo di andare a vedere se ha bisogno di qualcosa, se si possa
aiutarla a trovare un posto nel quale trovare amicizia,
solidarietà. Ho bisogno di sperare che lei non dorma al freddo, che qualcuno le
dia riparo, che qualcuno l’abbracci forte come fosse la persona più cara che si
ha. Ho bisogno di pensare che lei possa trovare pace, serenità, che possa
buttare in un cestino il suo piattino e possa porgere la sua mano solo per
accarezzare. Ho bisogno di pensare che lei possa indossare abiti semplici ma
puliti, adatti al suo corpo gracile eppure portatore di una storia lunga almeno
8 decadi. A cosa potrà mai servire la bellezza dei monumenti se perisce la
bellezza dei buoni sentimenti?
La sua sciarpa blu avvolge il suo dolore,
dietro le rughe del suo volto
c’è la corsa di lei bambina tra i campi,
ci sono gli occhi aperti al mondo delle novità,
c’è il ricordo dell’amore assaggiato,
dell’amore provato per caso,
di quello divorato dalla passione,
di quello vissuto nella certezza del futuro dai capelli
bianchi.
Il suo cappotto scuro e largo
accoglie la grandezza della sua anima,
riscalda i ricordi della giovinezza,
e la tenacia dei suoi sogni;
riscalda gli abbracci dati e quelli ricevuti;
accoglie il tempo che passa e la protegge dal marciapiede
gelido.
C’è un’indescrivibile bellezza nei suoi movimenti umili,
c’è dolcezza nella sua vocina fragile che ricorda bene l’importanza
del grazie.
Dalla sua bocca nasce la benedizione per chi comprende il
suo dolore
e si ferma per qualche istante a condividere la sua
eternità.
Sotto alla sua sciarpa i suoi capelli d’oro, scendono sulle
spalle e danzano  al vento del passato;
sotto al suo vestito, le sue gambe conservano lo slancio
della giovinezza pronta a correre e a scoprire,
le sue braccia aperte conservano ancora la carezza calda
della sua metà.
Buona vita piccola, fragile e indimenticabile sconosciuta!
Ti arrivi il mio desiderio di calore.

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