Il cortocircuito della mente


Il primo stupore l’ho provato
quando ho visto il manifesto attaccato alla porta della chiesa di Tiriolo.  Lo so, può sembrare una sciocchezza ma io non
potevo credere ai miei occhi. Grande più delle mie aspettative a dirmi che la
mia conquista centimetro per centimetro è iniziata e bisogna portarla avanti con
entusiasmo e determinazione
.  Il secondo
stupore l’ho provato quando sono arrivata nella sala parrocchiale e ho
incontrato oltre che Don Giovanni, Gigi, Martino e Gregorio. I girasoli di don(!)sul
tavolo a dare più calore e i significati dei relatori sul mio romanzo per
concedermi nuove riflessioni. Saliamo al piano superiore in ufficio per concordare le
modalità della presentazione. Ci sediamo intorno alla scrivania e iniziamo una
conversazione che suona sin dalle prime parole come speciale per me. Che bella
sensazione, quella di riuscire a cogliere gli aspetti positivi di ogni
incontro! In poco meno di venti minuti quelle persone mi hanno letto dentro con
le loro idee. Danno per scontato che quella descritta sia una storia vera, che
ci sono delle sfumature necessarie per dare una cornice ancora più importante
al mio lavoro. Mi dicono che si sono identificati, che l’hanno letto
velocemente, che una sola lettura è sufficiente per farsi ricordare, che alcuni
episodi narrati li hanno fatti ritornare bambini, che per la prima volta
sentono parlare della filosofia del rugby, che hanno fatto capolino anche i
brividi. Io mi sarei potuta fermare lì, ero già felice di quello che avevo
ascoltato e della traccia che avevo già segnato dentro di me
. Per fortuna,
siamo andati avanti. Ho sceso le scale ed entrata in sala, ho visto tanta gente
di attesa di vivere con me un’oretta della loro vita. Inizia a parlare Martino:
si alza in piedi e imposta il suo intervento sull’entusiasmo. L’ascolto come se
non fossi stata io la scrittrice e come se il libro fosse stato scritto da
qualcun’altro. È un viaggio fatto di sapori, di immagini, di sensazioni che
vagano felici alternando la familiarità di certi luoghi e la novità che gli
stessi mi offrono, perché vissuti con altri occhi. La perplessità provata nel
dover relazionare su un libro da leggere in poche ore lascia il posto all’abbandonarsi
al racconto. I giri di boa di Ettore, i suoi punti di riferimento, la conquista
degli affetti familiari, la consapevolezza che la bellezza si esprime nella
semplicità e che la piccolezza è spesso quel particolare che fa la differenza,
la riscoperta dell’appartenenza guidano il suo discorso appassionato. Prosegue Gregorio.
Non leggeva un libro da qualche tempo e l’esperienza con Sognando la meta l’ha
riportato a quando era piccolo. Il super santos sbiadito gli ricorda la
passione che hanno i bambini quando giocano solo per il gusto di stare insieme,
di costruire l’azione senza pretese di successi megagalattici. Continua Gigi e
lui rimane colpito dal modo in cui è narrata la Calabria, dal coraggio che
mostrano i protagonisti, da alcune parole usate per descrivere la vita e alcuni
momenti di intimità familiare, dalla ricercatezza delle parole. Mi guarda e mi
dice che Sognando la meta è un romanzo
del 2000 oltre
. La mia mente va in
cortocircuito e il cuore si prende questo pensiero come faccio con i biscotti:
lo afferro velocemente e me lo gusto lentamente.
Una signora interviene
passandomi la metafora dell’eleganza della tessitura: le sembra che la trama sia
legata come se fossero dei fili di un telaio guidati da una mano che vuole
disegnare e sa come fare. Don Giovanni scherza quando mi dice che la pensiamo
allo stesso modo sull’arte come strumento di affermazione delle persone e del
territorio, mi dice che il mio libro completa il ciclo del lavoro svolto fino a
quel momento centrato sul cantico delle creature. Nuovo cortocircuito e un
altro biscotto da gustare. Conclude con una domanda su quale sia la mia meta e
mi guarda per qualche secondo quando gli rispondo che sto mettendo i due accenti alle “e”, quelli dimenticati in terza
elementare quando ho scoperto che la penna sarebbe stato il pennello che avrei
usato per dipingere la mia esistenza
. Mi porgono dei fiori: scelgono le rose e mi convinco sempre di
più che il caso non esiste
L’anagramma di caso senza la “c” è osa. In questo credo! C’è un filo sottile che lega ogni evento della
nostra esistenza. Tutto va in una determinata direzione quando diventiamo
consapevoli che i nostri pensieri sono
le azioni che mettiamo in campo
. Come dice Gandhi, i pensieri positivi
diventano parole, le parole si trasformano in comportamenti. I comportamenti
diventano abitudini; le abitudini si trasformano in valori e i valori
costruiscono il destino di ogni essere umano. Molto di ciò che ho sentito dire
è andato direttamente alla stagionatura. Non
siamo poi così diversi da un seme. Abbiamo bisogno di una terra che si prenda
cura di noi, dell’acqua che ci disseti e del tempo per germogliare, diventare
arbusto, poi albero e quindi madre di frutti che hanno in sé nuovi semi e nuove
storie da raccontare in armonia con ciò che lo circonda
.
Data la straordinarietà della
vita, ogni istante merita un abito scelto
con cura
, colori che sanno dare senso all’anima, carezze che riscaldano il
cuore.
Ogni
relazione merita la ricerca del bene
. Merita di essere vissuta al
massimo delle proprie emozioni. Merita attenzione. Merita ascolto. Merita di
muoversi con la delicatezza di una piuma, la regalità dei gabbiani, la raffinatezza
delle api quando producono il miele.
Ogni passo nella vita va fatto
con la timidezza di chi sa dare valore, la determinazione di chi vuole
raggiungere il traguardo, la passione di chi crede nei propri sogni, la fiducia
di chi sa affidarsi e lasciarsi andare, la gioia di chi apprezza i particolari,
la curiosità di chi si sente sempre alla scoperta di nuovi mondi, l’umiltà di
chi sente che la sfida giornaliera è imparare cose nuove, la magia di chi sa
guardare negli occhi e sa entusiasmarsi e la gratitudine per tutto quello che
raccoglieremo lungo il cammino.
Ogni volta che giochiamo, ogni
volta che ci illuminiamo, ogni volta che l’altro ci offre un’opportunità per
guardare meglio noi stessi, ci apriamo all’amore e a tutto quello che di immenso
ha da offrire. 
“Il
suo regalo, confezionato in arancione, era piccolo, rettangolare e molto
misterioso per la mia mente acerba. È in questa scena della mia infanzia, che
le emozioni di quegli istanti ritornano a galla impetuose: ero di fronte ad un
libro fatto di tantissime figure. In un attimo la mia teoria “il regalo più
grande è quello più bello” così inconfutabile fino a pochi minuti prima, si era
improvvisamente tramutata in  una balla
colossale
.” 

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