La magia di Corazzo e della risata all’ombra di Gioacchino da Fiore


Il sole splende alto nel cielo, un’altra giornata di tepore in questo settembre un pò anomalo per i miei ricordi. Mi ritrovo con Graziella a Corazzo, questa abbazia cistercense che ha ripreso vita grazie a dei ragazzi straordinari che, con il progetto Gedeone, se ne prendono cura e coltivano intorno ad essa origano, zafferano. Ha nuovi sapori e nuovi odori questo luogo tanto sacro per quello che stanno compiendo, quanto profano per tutti gli anni in cui l’edera si è arrampicata sui ruderi lasciando all’incontro casuale la magia di questo posto. Adesso si respira il profumo del bello e del divino. Sognando la meta ha a che fare con il monastero, è lì che le energie di cui sto tanto parlando si sono sprigionate ed hanno reso possibile il fluire di tutta la storia. Mai però, quando ho scritto le prime parole del romanzo, avrei pensato che qualche mese dopo la sua uscita, sarei ritornata lì a fare lo yoga della risata. Non potevo nè immaginare nè prevedere che sotto quegli archi millenari, avrei conosciuto così tante belle persone e avrei vissuto un’esperienza così forte per me che sono un’introversa allenata da poco alla risata. In quella cornice così fantastica, con i raggi del sole immortalati da uno scatto fatto per catturare le emozioni dei partecipanti e che ci ha restituito la magnificenza della natura, ho visto persone sciogliersi in una risata sincera, autentica, stupita all’inizio e poi sempre più spontanea. Ho sentito la voglia di lasciarsi andare, di provare a fare questa esperienza che vuole che ognuno si metta in gioco e si prenda un pò in giro senza tuttavia deridersi e deridere. Ho sentito il profumo della libertà nello sguardo attento di un ragazzo che non sta stare fermo, ho ascoltato la voce incerta ma vibrante di uomini mai visti prima che si sono mossi con la grazia che solo gli stolti chiamano handicap e che solo i privilegiati chiamano amore; ho ascoltato le storie dei partecipanti, quelle non narrate con le parole ma fatte di gesti, piccoli e impercettibili movimenti. Sono entrata nel gruppo lasciando fuori il tempo e mi sono lasciata coccolare dalla voglia di sperimentare. Ognuno di noi ha un modo di sorridere, di lasciarsi trasportare dalla gioia, dallo stupore, dalle emozioni positive. C’è chi sgrana gli occhi, chi rende la sua voce più importante, chi allarga le braccia o ti stringe la mano forte; tutti portano dentro la loro unicità, il loro essere straordinari. In questa magia, c’ è davvero un battito del cuore all’unisono, c’è davvero energia che influenza il campo magnetico. Lo yoga della risata è uno strumento potentissimo di pace ovunque lo si faccia e con chiunque ci si trovi. Se poi hai la possibilità di farlo lì dove fu abate Gioacchino da Fiore; se hai la possibilità di camminare sulla stessa terra calpestata da questo grande abate che ha ispirato e continua ad ispirare i piccoli e grandi di questo mondo; se hai la possibilità di respirare la stessa aria di eternità e la stessa pace di chi ha trovato se stesso e la sua strada, tutto assume un nuovo significato, un nuovo senso. Come la goccia che cade sulla roccia, lentamente questo senso accarezza il cuore e dopo qualche ora di non-sense, ti lascia in bocca quel gusto dolce della serenità. 
Sognai di essere bambina e di trovarmi in un luogo di
festa nei pressi di un monastero, dove delle persone erano indaffarate a
organizzare qualcosa di divertente. Mentre stavo disegnando un albero,
circondata da bambini che cantavano a squarciagola, fui d’un tratto attratta dal
rumore di un fiume e, prima  a passo
incerto, poi più velocemente ne raggiunsi la riva, stremata ma felice e serena
come non mai. Mi sdraiai nel greto per un poco, quindi ritornai indietro,
camminando, godendo di ogni metro di quel percorso. Giunta al monastero vidi
due ragazzini, un maschio e una femmina, di cui non distinguevo i tratti
perché, cosa strana, più mi avvicinavo, più la loro immagine si sfocava, finché
uno dei due scomparve come fosse un fantasma, e l’altro si perse nella folla;
di lui percepivo l’altezza, di lei solo la voce che diceva: “finalmente sei
arrivato!”, parole che sembravano nascere dentro di lei senza mai uscire dalla
bocca. Sarei voluta restare in quel sogno e seguirne la storia ma fui svegliata
dall’avviso del comandante che ci comunicava che stavamo per atterrare
all’aeroporto di Addis Abeba”. 

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