L’Ethiopia, il più antico
stato africano, è una terra che ha molto da raccontare. Già solo il significato
del suo nome, mi fa venire i brividi. Ci
sono diverse teorie, io ho scelto quella “dei faraoni neri del Sudan” secondo la quale
Etiopia significherebbe paese della pace più alta. Quando la partenza è fatta di pace, il
viaggio è di certo più esaltante. Ecco quindi che alla pace, si uniscono il
Nilo Azzurro, il racconto di Perseo e Andromaca, la leggenda che vuole gli dei
seduti intorno alla mensa del sole, e l’avventura narrativa assume una forza
emotiva imprevedibile alla prima frase scritta quasi per gioco. In questo
angolo di mondo, dove muoiono un sacco di bambini per malnutrizione, polmoniti
e AIDS, dove la bellezza del posto si scontra con la crudezza della realtà,
dove la solennità della storia fa a pugni con l’indifferenza dei paesi ricchi,
la penna ha rallentato il suo fluire per non perdere nulla dell’essenziale. Qui
in mezzo all’odore forte dei tukul, in una comunità alla quale non ho voluto
dare un nome, perché identificasse tutti, ho fatto posare i piedi e gli occhi
di Sofia. Perché lei potesse respirare l’aria
di chi non si arrende, di chi a piccoli passi ci prova, che con determinazione
e tenacia cerca la propria strada. L’ho mandata in un luogo fatto dei
rumori della costruzione e della distruzione, dei sapori della creatività e
della disperazione, degli odori forti e intensi dei campi coltivati con mezzi
di fortuna. Grazie alla vivacità dei contadini e al lavoro costante dei
volontari Sofia trova le sue radici ed anche le ragioni profonde del suo agire.
Scopre la rabbia e il fatto che può
essere espressa senza far male a nessuno, scopre la gioia di condividere un pasto
semplice, scopre che “siamo fatti tutti di carne e tutti sotto lo stesso cielo”
e che non c’è reato più grave della disattenzione nei confronti dell’altro.
In questo mondo in cui il tempo non ha lancette, nel quale la luna e il sole
sono ancora i più importanti punti di riferimento, in cui la scelta di un nome
stabilisce un destino di un essere umano, lei si accorge di quanto sia preziosa
la fratellanza; di quanto l’amicizia sia molto di più di un’ancora di salvezza.
Così come impara a coltivare i campi,
allo stesso modo impara a coltivare le sue emozioni. Il suo corpo diventa
il veicolo della conoscenza consapevole: c’è molto cammino, ci sono molti
sorrisi, molte lacrime. Impara che i muscoli non sono masse cellulari amorfe
gonfiate dal movimento, sono vita che cresce e porta con sé significati
emotivi, significati di cuore. Ogni singola
cellula si nutre di ogni singolo istante della propria esistenza perché si alimenta
di tutto ciò che i nostri sensi sono capaci di percepire. Quando teniamo accesi
gli occhi, vediamo molto di più del solito. Quando diamo importanza al
contatto, il corpo parla un linguaggio più primitivo e più autentico dandoci l’opportunità
di vivere più intensamente i sentimenti. Quando impariamo ad innamorarci del
particolare, l’altro, chiunque esso sia, diventa una persona che può essere
amata, nel senso più alto del termine e questo fa si che ascoltarlo sia il dono
più grande che possiamo fare. E si, perché l’ascolto è la porta di ingresso
dell’amore: la bellezza sta lì, nella capacità di cogliere la poesia di chi incontriamo lungo il nostro cammino. È vero quando si dice che l’errore più grande
che commettiamo quando si tratta di capire chi sta di fronte a noi è quello di
fare la prosa della sua poesia. Tutte le volte che interpretiamo secondo la
nostra esperienza rischiamo di perderci l’autenticità delle persone. La poesia salverà il mondo: io ci credo
fortemente. Meno prosa, meno pregiudizi e più amore, autenticità, attenzione. Come
si fa con i bambini, così si fa con gli adulti: si dedica loro attenzione.
stato africano, è una terra che ha molto da raccontare. Già solo il significato
del suo nome, mi fa venire i brividi. Ci
sono diverse teorie, io ho scelto quella “dei faraoni neri del Sudan” secondo la quale
Etiopia significherebbe paese della pace più alta. Quando la partenza è fatta di pace, il
viaggio è di certo più esaltante. Ecco quindi che alla pace, si uniscono il
Nilo Azzurro, il racconto di Perseo e Andromaca, la leggenda che vuole gli dei
seduti intorno alla mensa del sole, e l’avventura narrativa assume una forza
emotiva imprevedibile alla prima frase scritta quasi per gioco. In questo
angolo di mondo, dove muoiono un sacco di bambini per malnutrizione, polmoniti
e AIDS, dove la bellezza del posto si scontra con la crudezza della realtà,
dove la solennità della storia fa a pugni con l’indifferenza dei paesi ricchi,
la penna ha rallentato il suo fluire per non perdere nulla dell’essenziale. Qui
in mezzo all’odore forte dei tukul, in una comunità alla quale non ho voluto
dare un nome, perché identificasse tutti, ho fatto posare i piedi e gli occhi
di Sofia. Perché lei potesse respirare l’aria
di chi non si arrende, di chi a piccoli passi ci prova, che con determinazione
e tenacia cerca la propria strada. L’ho mandata in un luogo fatto dei
rumori della costruzione e della distruzione, dei sapori della creatività e
della disperazione, degli odori forti e intensi dei campi coltivati con mezzi
di fortuna. Grazie alla vivacità dei contadini e al lavoro costante dei
volontari Sofia trova le sue radici ed anche le ragioni profonde del suo agire.
Scopre la rabbia e il fatto che può
essere espressa senza far male a nessuno, scopre la gioia di condividere un pasto
semplice, scopre che “siamo fatti tutti di carne e tutti sotto lo stesso cielo”
e che non c’è reato più grave della disattenzione nei confronti dell’altro.
In questo mondo in cui il tempo non ha lancette, nel quale la luna e il sole
sono ancora i più importanti punti di riferimento, in cui la scelta di un nome
stabilisce un destino di un essere umano, lei si accorge di quanto sia preziosa
la fratellanza; di quanto l’amicizia sia molto di più di un’ancora di salvezza.
Così come impara a coltivare i campi,
allo stesso modo impara a coltivare le sue emozioni. Il suo corpo diventa
il veicolo della conoscenza consapevole: c’è molto cammino, ci sono molti
sorrisi, molte lacrime. Impara che i muscoli non sono masse cellulari amorfe
gonfiate dal movimento, sono vita che cresce e porta con sé significati
emotivi, significati di cuore. Ogni singola
cellula si nutre di ogni singolo istante della propria esistenza perché si alimenta
di tutto ciò che i nostri sensi sono capaci di percepire. Quando teniamo accesi
gli occhi, vediamo molto di più del solito. Quando diamo importanza al
contatto, il corpo parla un linguaggio più primitivo e più autentico dandoci l’opportunità
di vivere più intensamente i sentimenti. Quando impariamo ad innamorarci del
particolare, l’altro, chiunque esso sia, diventa una persona che può essere
amata, nel senso più alto del termine e questo fa si che ascoltarlo sia il dono
più grande che possiamo fare. E si, perché l’ascolto è la porta di ingresso
dell’amore: la bellezza sta lì, nella capacità di cogliere la poesia di chi incontriamo lungo il nostro cammino. È vero quando si dice che l’errore più grande
che commettiamo quando si tratta di capire chi sta di fronte a noi è quello di
fare la prosa della sua poesia. Tutte le volte che interpretiamo secondo la
nostra esperienza rischiamo di perderci l’autenticità delle persone. La poesia salverà il mondo: io ci credo
fortemente. Meno prosa, meno pregiudizi e più amore, autenticità, attenzione. Come
si fa con i bambini, così si fa con gli adulti: si dedica loro attenzione.
Giungemmo
al villaggio di sera, dopo molte ore di viaggio. Stremata, non ebbi modo né di
guardarmi intorno, né di capire dove mi trovassi, o di pormi troppe domande.
Ricordo solo l’ampio sorriso di Suor Maria e l’odore forte del tukul nel quale
avrei soggiornato per tutto il periodo della mia permanenza in quel posto. Il
mattino seguente, fui svegliata da due occhi color cioccolata fondente che mi
fissavano con curiosità. Era un bambino di non più di quattro anni, mandato in
avanscoperta dai suoi amichetti che lo aspettavano davanti all’uscio del mio
alloggio. Non essendo abituata a quel tipo di risveglio, saltai dal letto
mentre il piccoletto continuandomi a fissare mi disse qualcosa che non capì e
scappò via tra le risate del suo gruppo. Suor Maria giunse qualche minuto più
tardi, divertita da quel rituale che i suoi piccoli ripetevano ogni volta che
qualcuno arrivava nel loro mondo. Passato lo stupore, le chiesi come avrei
fatto a capirli, non comprendevo la loro lingua; per me erano suoni tanto
armoniosi quanto complessi. “Stai tranquilla, imparerai presto!”- mi rassicurò
lei – “ Ti renderai conto che il miglior modo di comprendersi non è conoscere
le parole ma è sapersi osservare a vicenda.”
al villaggio di sera, dopo molte ore di viaggio. Stremata, non ebbi modo né di
guardarmi intorno, né di capire dove mi trovassi, o di pormi troppe domande.
Ricordo solo l’ampio sorriso di Suor Maria e l’odore forte del tukul nel quale
avrei soggiornato per tutto il periodo della mia permanenza in quel posto. Il
mattino seguente, fui svegliata da due occhi color cioccolata fondente che mi
fissavano con curiosità. Era un bambino di non più di quattro anni, mandato in
avanscoperta dai suoi amichetti che lo aspettavano davanti all’uscio del mio
alloggio. Non essendo abituata a quel tipo di risveglio, saltai dal letto
mentre il piccoletto continuandomi a fissare mi disse qualcosa che non capì e
scappò via tra le risate del suo gruppo. Suor Maria giunse qualche minuto più
tardi, divertita da quel rituale che i suoi piccoli ripetevano ogni volta che
qualcuno arrivava nel loro mondo. Passato lo stupore, le chiesi come avrei
fatto a capirli, non comprendevo la loro lingua; per me erano suoni tanto
armoniosi quanto complessi. “Stai tranquilla, imparerai presto!”- mi rassicurò
lei – “ Ti renderai conto che il miglior modo di comprendersi non è conoscere
le parole ma è sapersi osservare a vicenda.”